Sento l’inconfondibile richiamo delle cince che vengono a banchettare nel vasetto a loro riservato sul terrazzo, tra i ciclamini e le eriche. Ho appena finito di sorseggiare un infuso al limone con zenzero e curcuma per placare il falò in gola con cui mi sono svegliata stamattina, mentre fuori iniziava a piovere a dirotto.
No no, non dirò niente contro l’autunno, non esiste. Malanni di stagione? Sono abituata, nessuna lamentela.
Quando già nei giorni scorsi lo sconforto del buio che arriva sempre prima e delle mie ormai noiose problematiche di salute stava prendendo il sopravvento, ho deciso che la strategia vincente era una e una soltanto: andare di corsa (metaforicamente, dai) al mio rifugio speciale nel Parco di San Giovanni, al roseto.
Dopo un’estate particolarmente siccitosa e torrida ed un settembre invece umido e piovoso non sapevo che paesaggio mi avrebbe accolta: l’unica certezza è che non sono previste delusioni. Che le rose siano in fiore od appassite, che ci siano cinorrodi o solo rami secchi che si preparano all’inverno, io mi ricarico e penso, penso in maniera meno inutile di quando sto a casa a rimuginare incessantemente.
Ancora più utile è quando smetto di pensare, mi perdo ad osservare, ad ascoltare, ad annusare, a camminare.
Mi concentro sullo scalpiccio degli stivali sulla ghiaia che si attutisce quando l’erba si fa più folta dei sassolini. Vedo con la coda dell’occhio le lucertoline che aspettano fino all’ultimo secondo per capire se possono rimanere a crogiolarsi o devono battere in ritirata. Schivo cercando di non impazzire i salti delle temibilissime cavallette. Scovo fiorellini microscopici di cui non so il nome e quindi me ne invento uno sul momento.
Prendo la Canon in mano e scatto qualche foto, per ricordarmi il momento o una rosa di cui puntualmente scordo di fotografare il cartellino. Quella qui sotto me la ricordo lo stesso però, è la rosa dedicata a Maria Teresa d’Austria ed è bellissima.
Mi fermo un momento ed inizia a cadermi qualche foglia attorno, in testa e sulle spalle: le guardo volteggiare prima di appoggiarsi sul prato ed arriva un raggio di sole a rischiarare la nebbia. La luce d’autunno è la più bella che ci sia. Forse perché dura poco, chissà, e bisogna impegnarsi a godersela tutta, finché c’è.
Cerco di escludere qualsiasi rumore mi richiami alla civiltà: una macchina che passa, un tosaerba in lontananza, qualcuno che parla al cellulare. Voglio solo foglie, rami, alberi, fiori e uccellini. Almeno per un po’. Ancora un po’.
Mi viene fame. Sento l’umidità che mi strapazza le ossa, le spalle iniziano a protestare, il collo scricchiola. Ah, beata gioventù (che non c’è più)! 😀
Rimango ancora un pochino, qualche minuto e poi vado.
Magari due pochini.
Come concordo! I ‘pochini’ non sono mai abbastanza per perdersi!
Faccio collezione di “pochini” 😀
Meraviglioso autunno *_*
Che bello il tuo rifugio speciale !
Quando abitavo a Milano ne avevo anch’io un paio dove andare a rifugiarmi per pensare o leggere.
Qui a Pesaro invece niente. Il mio rifugio è casa mia ma se ci penso mi sembra un po’ di aver perso qualcosa. Spero col tempo di ritrovarne uno…magari bello come il tuo.
♥
È una vera benedizione questo parco, davvero. Che fortuna scoprirlo e trovare casa proprio a due passi. Avere un proprio giardino forse placa la voglia di fuggire e perdersi in mezzo agli alberi, ma ti auguro di trovarlo il tuo posticino speciale. ❤