Conto le ore, persino i minuti che mi separano dall’arrivo del tanto promesso temporale, che spero si porterà via quest’odiosa afa opprimente che toglie il respiro e fa battere il cuore in modo strambo.
L’estate è sempre stata la mia stagione meno preferita, da quando ha smesso di svolgere la sua unica funzione utile, ovvero vacanza da scuola. A metà agosto già sentivo arrivare la malinconia.
Trieste è stata classificata tra le città più roventi, picchi oltre i 40°, giorni e giorni di aria pesante, sole cocente, notti umide e insalubri. Conosco due persone che amano questo tempo, neanche mi sforzo di capirle perché sarebbe una fatica inutile, e con questo caldo le energie vanno centellinate, ché già son poche. Con un’altra amica invece ci scambiamo su WhatsApp improperi e contumelie meteorologiche, tiepide speranze, consigli della nonna, confessioni più o meno imbarazzanti su come stiamo fronteggiando queste detestabili condizioni atmosferiche. Scapperei in mezzo ai monti se la salute me lo permettesse, ma pare non essere ben disposta a collaborare per ora.
Tanti film, tante letture, su e giù per il corridoio di casa per non deludere il contapassi comprato da poco (se non arrivo a 5.000 al giorno sono delusa, anche se l’obiettivo sarebbe esattamente il doppio), tante paroline d’incoraggiamento alle impavide piante sul terrazzo che si cerca di proteggere piazzando strategicamente ombrelloni nelle ore centrali della giornata ed elargendo doppia/tripla razione di acqua.
Mi pesa far passare tanti giorni senza poter uscire, proprio quando avrei tutto il tempo a disposizione per riabituarmi ad una vita normale, tolto momentaneamente lo stress lavorativo. Invece niente, se esco mi manca il fiato, mi sento male, tipo budino dimenticato sul tavolo, mi spavento e torno subito a casa, e riprendo a respirare grazie al climatizzatore acceso giorno e notte da una settimana di fila, escluse poche e brevi pause.
Meno male che trovo parole di conforto nel leggere queste righe di Pia Pera, che oltre a non poter avere un nome più simpatico, non potrebbe essere più brava ad esprimere certi concetti, che arrivano sempre puntuali quando ho proprio bisogno di riceverli.
Un pezzo di terra circoscritto, una toppa su un pianeta a brandelli, eppure la beatitudine. In questo pezzo di terra, vivere libera dai desideri che portano gli uomini lontano, in posti che non amano, a lavori che rattristano e invadono la mente togliendo spazio alla gioia. […] ero un cespuglio malamente potato e poi cresciuto in un intrico soffocante di rami, con spreco di linfa, dispersione di energia. La forma naturale era andata perduta al primo taglio, insieme alla capacità di far sbocciare le gemme dei desideri. Adesso vengo lentamente sfrondata. Ogni ramo potato è linfa che scorre più vigorosa negli altri. Finché i desideri tornano a sbocciare, la vita a scorrere. Ripulita da quanto insegnano a considerare indispensabile: viaggi, vacanze, gioielli, spettacoli, ostentazione, fretta. Senza consumo permanente.
{ L’orto di un perdigiorno / Pia Pera }
Non c’è stata solo immobilità, noia e astio anti-estate ampiamente espresso in queste settimane: c’è stata anche una di quelle cose strane che faccio io ogni tanto, che però stavolta non ho raccontato a nessuno, ma proprio a nessuno, e che anche qui lascerò vaga vaga, come uno di quei sogni che svaniscono nell’istante in cui ti svegli e che lasciano soltanto una scia evanescente di un’emozione indefinibile e privata.
Sono stata in un giardino, un giardino segreto, credo si possa definire così: sapevo della sua esistenza, ma pareva irraggiungibile, non tanto per la distanza, quanto per la sua esclusività. Serviva l’invito, ed è capitata l’occasione, e io l’ho colta al volo, spostando ogni residuo di titubanza in un angolo.
Così, un pomeriggio, mi sono ritrovata non nel mio amato Parco di San Giovanni, ma sopra, in un altro gioiellino verde incantato, con tanto di vista mare e roseto. Cosa può esserci di più soddisfacente di trovarsi a godere di quella splendida visuale? Beh, nulla, a parte l’ovvio: trovartici non da ospite ma da padrona di casa… pazienza.
Il sole intanto qui insiste, si fa beffe dei tuoni di calore che continuano a brontolare in lontananza e che mi riempiono di (false?) speranze.
Siamo a Trieste però, caro mio, e sai bene che prima o poi arriva lei, la nostra salvatrice: la bora!!! Sei fregato bello, hai le ore contate.
Dai che magari qualche giorni in montagna riesci a fartelo magari in agosto quando tornerà il gran caldo… ahhhahahhh, nno vedo l’ora… 😉
Bellissimo questo giardino, secondo me non è l’ultimo in cui riuscirai a intrufolarti, sbaglio? 😀
Ci spero ancora nella fuga sui monti, altroché!
Ti dirò, mi guardo sempre in giro alla ricerca di possibilità di “intrufolamenti”: ho scoperto da poco di essermi persa un Open Day e mi sto ancora mangiando le mani, quindi ora sto super all’erta. 😉
Dov’è il roseto??? Dov’èèè??? Non mi riesce di trovarlo!!! 🙁
Qui da me il fresco è arrivato, pure troppo, ci si è messa pure la tromba d’aria, pensa!!!
Si vede un cespuglietto davanti a quell’edificio rosso sotto il campanile che spesso s’intravvede nelle mie foto. Non era facile individuarlo in effetti. 🙂
Ho sentito al tg di trombe d’aria e grandinate in giro per l’Italia: qui niente del genere, solo pioggia e un po’ di bora.
Me lo ero persa, questo post. Adesso sono super curiosa di sapere dov’è questo giardino segreto. Ma se è segreto, deve restare tale 🙂
Te lo svelerò quando ci incontreremo di persona. 😉
I segreti assoluti non mi piacciono, preferisco quelli condivisi con pochi.