Nei luoghi nascosti

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Ci sono milioni di cose che non si vedono, ma ci sono. Ultimamente è come se ci fosse una zona d’ombra per cui mi risulta invisibile tutto ciò che appare palese alla maggior parte delle persone, ed allo stesso tempo percepisco movimenti impercettibili, minuscoli cambiamenti, dettagli infinitesimali.

Giugno nel Parco di San Giovanni a Trieste © leeliah99.altervista.org

Non solo li avverto, ma ne sono attratta e non oppongo resistenza. Li cerco, senza rendermene conto, continuamente, come delle conferme: notarli mi rassicura, mi calma i pensieri agitati. Li sento come cose mie, personali e privati, nascosti a chiunque altro, come se esistessero solo perché io li veda e li riconosca.

Giugno nel Parco di San Giovanni a Trieste © leeliah99.altervista.org

Se camminando senti il terreno scricchiolare sotto i piedi d’istinto guardi in giù, per capire cosa provoca quel rumore. Io invece rallento, non abbasso lo sguardo, ho paura di scoprire che non sono bellissime foglie accartocciate, ma orribili scarafaggi. Proseguo lentamente e strizzo gli occhi per scorgere come sarà il sentiero tra dieci, venti, trenta passi. Procedo piano, tastando con cautela per evitare fossi o peggio ancora burroni. Il problema è che vorrei correrci, saltare, andarci in bicicletta su quel terreno, non avanzare alla velocità di una lumachina impaurita.

Giugno nel Parco di San Giovanni a Trieste © leeliah99.altervista.org

Voglio fidarmi di più, affrettare un po’ il passo, controllando ogni tanto che il sentiero regga, ma senza camminare sempre a testa bassa.

Giugno nel Parco di San Giovanni a Trieste © leeliah99.altervista.org

Voglio vedere cosa c’è più in là, provare la sensazione di liscio e non sdrucciolevole al tatto. Voglio guardare verso l’alto per non perdermi un bello spettacolo, senza rimanere delusa perché non compaiono liane a cui aggrapparmi per coprire più strada in meno tempo senza dover camminare.

Giugno nel Parco di San Giovanni a Trieste © leeliah99.altervista.org

Faccio spesso lo stesso sogno: accorgermi che sono in grado di volare, così, semplicemente, senza ali, solo librandomi e muovendomi a piacimento con il pensiero ed è un’emozione immensamente gioiosa. Sono sogni talmente vividi che pur da sveglia ricordo perfettamente la sensazione del volo, proprio come sono in grado di ricordare cosa si prova ad alzare un braccio o flettere una gamba.
C’è anche un altro sogno ricorrente però, quello in cui all’improvviso diventa tutto sfocato e poi nero. Di solito sono in un equilibrio estremamente precario mentre mi succede, e provo una paura talmente soffocante che mi sveglio.

Giugno nel Parco di San Giovanni a Trieste © leeliah99.altervista.org

Anche la mia vista fisica reale sta peggiorando, e mi sono ripromessa di prendermene cura quanto prima, vincendo l’inutile timore di rimandare per non sentirmi dire quante diottrie ho perso e che dovrò portare sempre gli occhiali. Forse sarà un bene, perché ormai mi rendo conto che il mondo circostante è sfuocato, ma io non sono più disposta a farmelo andare bene così. Infilerò sul naso lo strumento che mi permetterà di vedere ciò che mi circonda in modo più definito e contornato, sia nei pregi che nei difetti.

Giugno nel Parco di San Giovanni a Trieste © leeliah99.altervista.org

Se ci si ferma qualche istante a cercare di venire a capo del senso di eternità o infinito, dopo un po’ la testa fa male e si avverte un disagio doloroso. La stessa cosa mi succede quando mi fisso con l’idea di affrontare qualcosa di enorme: scatta automatico il meccanismo che lo classifica al di fuori della mia portata, impossibile, e subentra all’istante lo scoraggiamento.

Giugno nel Parco di San Giovanni a Trieste © leeliah99.altervista.org

Tappe. Bisogna stabilire delle tappe. Come fanno gli scalatori alle prese con una montagna. Ogni tanto ci si ferma, si riprende fiato, ci si rifocilla, poi si può proseguire. Se vuoi strafare soccombi, e non concludi niente.

Giugno nel Parco di San Giovanni a Trieste © leeliah99.altervista.org

Saranno le tappe a portarmi avanti perché, come è già successo prima nella mia vita, certe decisioni impopolari e discutibili si sono rivelate poi essere giuste, pur con mille intoppi e dubbi durante il loro corso.
Se fossi un’altra persona forse farei un salto in lungo e mi eviterei tutti questi sentierini e tornanti e fondi ciechi, ma il tragitto sarebbe diverso e credo non l’apprezzerei. Ho considerato l’ipotesi neanche troppo remota che questo modo di procedere sia dettato dalla paura e non da un’autentica presa di consapevolezza, ma ho deciso che va bene lo stesso. Mi terrò la paura e quando arriverò al traguardo, magari mettendoci una piccola eternità, sarò comunque soddisfatta e mi sarò goduta tutti quei movimenti impercettibili, quei minuscoli cambiamenti e quei dettagli infinitesimali.

Giugno nel Parco di San Giovanni a Trieste © leeliah99.altervista.org

2 commenti

  1. Mi piace tanto questo tuo post e sono sincera nel dirti che mi ci ritrovo, almeno in parte. Prestare attenzione al nostro equilibrio più profondo è quello che ci fa stare bene, quindi la strada più lunga, più nascosta, meno battuta è per te evidentemente una necessità che ti porta vicino al punto di equilibrio, quel punto in cui “va bene così”. Non c’è nessun punto di arrivo se non questo, Ally! E poi pian piano si va avanti :). Coraggio, io tifo per te (e per me!). Viva i luoghi nascosti, i dettagli, la cura per noi stessi, a prescindere dal mondo che corre e dal giudizio altrui.

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Ally Leeliah

Scrivo della mia città, dei libri che leggo, dei film il cui finale mi delude, di blog e videogiochi, di piante e mercatini, del mio parco preferito dove vado a passeggiare e fotografare o schiarirmi le idee, delle mie tribolazioni. Benvenuti!

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