Gabbia dorata e torre d’avorio

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Questo post proprio non voleva saperne di uscire fuori dall’anfratto in cui si era comodamente acquattato, così per convincerlo ho usato l’argomentazione del dai che domani è l’undicesimo compleanno del blog.
Proprio l’11 febbraio del 2005 iniziava questa misteriosa avventura su Bravenet con Non voglio avere ragione. Voglio essere felice ed escluso il 2008 in cui mi sono presa una pausa dal web e non ho scritto nulla (peccato, perché di cose da raccontare successe in quell’anno ce n’erano eccome!), sono dieci anni che frequento questi lidi con appassionata dedizione e colgo l’occasione dell’anniversario per ringraziare tutte le persone che da allora ancora mi leggono e anche tutte le altre conosciute virtualmente durante il cammino. 🙂

Ultimamente cerco -e trovo- tanti, ma proprio tanti, blog interessantissimi, per lo più scritti in inglese, ma con qualche preziosa eccezione.
Leggo avidamente trovandomi più volte ad annuire pensosa e a riconoscermi in pieno nelle emozioni descritte da estranei che vivono dall’altra parte del globo o nel ben più vicino Veneto, per dire, e mi sento rassicurata per certi versi, terrorizzata per altri. Non si può certo pensare di conoscere i pensieri e il vissuto di qualcuno solo perché si sono letti un certo numero di post su un blog, ma si può senza dubbio avvertire istantaneamente un’affinità, questo sì.

Scusate se ora mi calo un momento nella mia parte nerd, citando una frase pronunciata nel secondo film della trilogia de Il Signore degli Anelli da Éowyn. Alla domanda di Aragorn “Cosa temi, mia signora?”, lei risponde “La gabbia: stare dietro le sbarre finché l’abitudine e la vecchiaia le accettino e ogni occasione di valore sia diventata un ricordo o un desiderio”.
Quando ho deciso di prendermi una pausa dal lavoro perché stavo male ed era chiaro a tutti che avevo bisogno di eliminare le fonti di stress prolungato su cui avevo un minimo di potere decisionale, l’intenzione principale era di concedermi del riposo, dello svago e di dimostrare quindi a me stessa che mi volevo bene. Avevo stretto i denti e tenuto duro per anni, per senso del dovere misto ad un perverso desiderio di essere normale come tutti gli altri, ma non ce la facevo più.
Mi sono un po’ isolata in quel periodo e solo da poco ho ricominciato ad uscire con qualcuno per il classico pomeriggio spensierato a fare un giro in centro o chiacchierare del più o del meno. Un po’ mi mancava, ogni tanto, ma non quanto avrei creduto. Avevo proprio bisogno di solitudine e silenzio per compensare il caos del prima, e fino a poco tempo fa ero convinta di aver preso la decisione giusta. Una volta finito il periodo delle feste natalizie però, sentivo già il nervosismo all’idea di dover tornare al lavoro a febbraio e si sono ripresentati puntuali i soliti sintomi psicosomatici (da cui la decisione di prolungare il periodo di aspettativa a fine marzo).
È evidente che io mi trovi nel bel (bel, mica tanto) mezzo di un circolo vizioso dove l’unica via d’uscita definitiva è una scelta drastica, senza tutti quei compromessi serviti finora solo a prolungare l’ansia di rimandare quella che una marea di gente giudica come una decisione sbagliata e controproducente. Ho cercato in tutti i modi a mia disposizione di agire diversamente, ma questo ha significato solo continuare a vagare all’interno di un labirinto.
Dopo un po’ ci si stanca, per niente poi!

The Tower Of Chronologist © VarLa-art
The Tower Of Chronologist © VarLa-art

A piccoli passi, uno e poi ancora uno, e poi un altro ancora, e così via, della serie lenta ma implacabile, cerco di districare il groviglio che ormai è talmente ingombrante da rendere difficile all’estremo anche il più semplice dei ragionamenti possibili. La tattica che per ora sembra funzionare è smontare sistematicamente con l’ironia la mia parte spaventata all’inverosimile dalla vita e dalle possibilità, nonché dall’idea che io possa concludere qualcosa di buono con le mie forze, le mie capacità e -udite udite- i miei talenti. Magari non saranno granché, ma li posso coltivare, e magari non sarò mai una che sa “vendersi” bene come certe blogger di successo e magari farò pace con la consapevolezza che non succederà perché non è quello che desidero veramente, ma una mera proiezione di quello che i fantomatici altri giudicherebbero di successo. Per me è un successo saper scrivere della vita a modo mio, ricevere dei commenti personali che mi permettono di avvicinarmi a qualcuno che altrimenti non avrei mai conosciuto, fare delle fotografie che raccontano un momento così come l’ho vissuto e come ho deciso di condividerlo.

Da adolescente mi sono spesso sentita accusare di essere altezzosa e snob, più di un ragazzo mi ha apostrofata dicendomi scendi dal piedistallo o chiedendomi come fosse la vista dalla sommità della mia torre d’avorio.
Ora so che il problema non era mio (una ragazzina diventata in fretta troppo timida ed introversa per scherzarci sopra e spiegare che quella era solo una maschera per non far vedere quanta paura avessi di fallire), ma loro, incapaci di comprendere quanto quei commenti impietosi pesassero.
Alcuni, col tempo, sono diventati amici nei successivi anni del liceo, e riuscire ad avvicinarmi a loro mi ha permesso all’epoca per la prima volta di capire che forse anche in futuro sarei dovuta spesso essere io a fare il primo passo. Ricorderò sempre con gratitudine la schiettezza di uno di quei ragazzi che mi confessò placidamente non venivo mai a parlare con te perché credevo ti sentissi superiore e non t’interessasse fare amicizia con noi.

Non so ancora bene come muovermi, ma imparerò sbagliando e non rinunciando a priori, iniziando da alcune piccole cose per prender confidenza (ho già iniziato).
Nel frattempo, se la mia parte spaventata si metterà a protestare a gran voce, la zittirò con un piiip.
XD

8 commenti

    • Il tifo da blog come il tifo da stadio, con striscioni e cori. XD Scusa il delirio, ma è da mercoledì che convivo con un mega raffreddore più annessi e connessi e non vedo l’ora di riemergere da questi cumuli di fazzolettini. :'(

  1. Non aver paura. Davvero.
    La consapevolezza di dover fare una scelta, è già l’uscita dalla bolla. Quando la scelta porta fuori da vincoli che ci fanno del male, non è mai mai mai sbagliata. Difficile, forse. Ma giusta.
    Siamo in un momento molto simile, io e te. Ho chiuso da un mese il mio rapporto di lavoro da dipendente e ora sono qui, in preda alle paure e agli entusiasmi, che vado verso questa famigerata e misteriosa e burocraticissima porta del libero professionista. Bisogna crederci. E poi grinta, grinta, grinta. Moltissima grinta.
    In bocca al lupo 🙂

    • La paura mi frega, le concedo troppo potere, lo so. Ti ammiro moltissimo per la tua intraprendenza e seguirò i tuoi progressi ed i tuoi racconti sul blog come una vera fan! 😉 In groppa al riccio!

  2. Io ammiro sempre le persone coraggiose. Quelle che sanno mettersi al centro della propria vita anche quando si tratta di prendere decisioni scomode. Ti seguo con curiosità e un filo di trepidazione in questo tuo bel percorso e credo non sia un caso il fatto che io abbia scoperto il tuo blog proprio ora.
    un abbraccio grande.

    • Ti ringrazio davvero per le tue parole. Sul fatto che il caso non esista io e te siamo senz’altro d’accordo. 🙂 In questi giorni di pseudo influenza ho pensato molto e mi dispiace perché certe riflessioni avrei voluto riportarle qui, ma mi sono venute tutte in mente ad ore improponibili tipo le 3 del mattino e quando più tardi ho preso in mano carta e penna si erano dileguate. Cercherò di ripescarle per poi condividerle con voi che mi leggete con così tanto affetto. A presto e grazie!

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Ally Leeliah

Scrivo della mia città, dei libri che leggo, dei film il cui finale mi delude, di blog e videogiochi, di piante e mercatini, del mio parco preferito dove vado a passeggiare e fotografare o schiarirmi le idee, delle mie tribolazioni. Benvenuti!

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