All my friends are going to be strangers

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All my friends are going to be strangersMi sono innamorata di questo libro. Non è stato amore a prima vista, ma qualcosa è scattato all’istante, non appena mi è capitato tra le mani ed ho letto il titolo All my friends are going to be strangers, di Larry McMurtry.
Dopo avergli sostituito l’etichetta ormai consunta sul dorso con la collocazione della biblioteca quasi totalmente scolorita dal tempo, d’istinto non l’ho riposto sul carrello assieme agli altri della pila da rimettere a scaffale, ma l’ho tenuto in disparte. Durante la pausa ho iniziato a leggerlo per vedere se “m’ispirava”.

Le prime pagine mi hanno sì incuriosita ma allo stesso tempo infastidita e sono stata sul punto di lasciar perdere quando il protagonista una mattina si sveglia e così -tanto per- decide di sparare ad uno scoiattolo. In effetti l’avevo veramente riappoggiato dietro al bancone con l’intenzione di farlo tornare nel deposito, ma c’era qualcosa che continuava a ronzarmi nella testa, un desiderio appena appena percepibile ma costante di vedere come continuava la storia e cosa avrebbe combinato questo Danny.
Mi sono sentita un po’ come Bastian quando trafuga La Storia Infinita dalla libreria e si rifugia nella soffitta della scuola di nascosto per leggerlo tutto d’un fiato. Io non avevo una soffitta a disposizione -né tantomeno il desiderio di passare la notte in biblioteca- ma mi sono attaccata a questo libro ad ogni minuto libero avuto a disposizione venerdì e non sopportando l’idea di dover aspettare giorni prima di poter continuare la lettura, all’ultimo momento ho deciso di portarlo via con me.

Domenica ho passato quasi tre ore consecutive sulla mia sediola di vimini in terrazzo immergendomi in questa storia che coinvolge sin dalle prime righe, che stupisce, che indigna, che fa ridere, che mette ansia, che fa simpatizzare, che fa fare il tifo e che non delude, nemmeno nel finale. Niente è banale e gli ultimi paragrafi sono densi di rimandi ad accenni sparsi durante il corso del romanzo che solo alla fine appaiono sensati invece che menzionati a caso.
Quello che mi è piaciuto di più sono le descrizioni dei luoghi, generose di richiami non solo visivi ma olfattivi e di sensazioni personali del narratore. Un piccolo particolare che mi ha fatto sorridere è che per due volte Danny cambia città piuttosto all’improvviso ed in entrambe le occasioni si preoccupa di restituire alla biblioteca cittadina i libri presi in prestito (bravo, utente modello!).

I liked my apartment. I liked the table where my typewriter sat. It was only an ordinary brown table, but it was just the right height. I enjoyed sitting at it and writing every morning, through the years. I even liked the smell of the damp floor mats. The apartment and I had seemed to belong together, from the first, but I’m that way about all the places I stay. Without meaning to, I begin to love them, and then I sort of adhere to them, physically. Leaving is like tearing off skin -also it jumbled my insides. I felt like feeling snug, and I no longer felt snug. I couldn’t remember why I had decided to leave, but we were already half-packed.

It was odd, going out the door and knowing I couldn’t just turn and go back in, if I thought of a book I wanted to read. The door clicked and I was really out.

Il finale è l’unico possibile -forse- o meglio l’unico che possa risultare coerente per il protagonista. Larry McMurtry lascia uno spiraglio per una possibile interpretazione del lettore, lasciandolo sospeso negli ultimi pensieri di Danny.
L’autore nel descriverlo dice che “arriva al punto di credere che non può aspettarsi nulla dalla vita se non pagine e parole, e questo genera in lui una sorta di rabbia contro l’arte, oltre ad un personale senso di disperazione”.

Then I left. As I was curving out the freeway I glanced behind me a second at the city I was leaving. It was sort of misty-foggy and the lights of the city were lovely. In the second I had to glance at it as I was leaving, it seemed a beautiful, romantic city. It occurred to me that I hadn’t got to know it at all well. For a brief moment I felt regret. In a way it felt like San Francisco was leaving me. I had just glanced back and seen it go. We had barely known each other -like two people who notice each other at a party but never get to talk.

I wasn’t going back. I would never turn around. People didn’t want such feelings as I had. I didn’t blame them. Neither did I. I just had them. […] I knew I would never learn. People were right. If I lived to be a hundred I would still be just as stupid. I would still do all the wrong things, with whatever people blundered into my path. Something was just wrong. I had missed some door. It would never open now. My chest felt tight. The door to the ordinary places was the door that I had missed.

I got up and waded into the river. I almost drowned, but not in water, just in regrets.

Se volete leggerne qualche pagina posto il link di Google Books.

4 commenti

  1. Non riesco a starti dietro se continui a proporre tante letture itneressanti!!! 🙂
    Ma questo libro è solo in inglese o è stato tradotto in italiano? Mi è venuto il dubbio vedendo che hai riprotato i passaggi in inglese. Sembra una lettura interessante comunque.

    • Sono in fase “lettura selvaggia”: ora devo iniziare il secondo libro per il Gruppo di Lettura e ne ho già preso in prestito un altro in biblioteca.
      Ho cercato ma credo proprio non sia stato tradotto in italiano.

  2. “me lo traduci?” 😛 peccato non sia anche in italiano…uffa! Sai, anche io mi sono innamorata in un libro a prima vista…presto pubblico il post! 😉

    • Massì, te lo traduco, son giusto quelle 300 pagine. Ci metterò un po’ però, porta pazienza! 😉
      Chissà che libro è… aspetterò aggiornamenti nel tuo blog allora.

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Ally Leeliah

Scrivo della mia città, dei libri che leggo, dei film il cui finale mi delude, di blog e videogiochi, di piante e mercatini, del mio parco preferito dove vado a passeggiare e fotografare o schiarirmi le idee, delle mie tribolazioni. Benvenuti!

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